APPUNTI DI STORIA IRPINA

 © ELIO CAPOBIANCO, 2018


LA MIGRAZIONE

 

Una grande massa di popoli asiatici, circa 2200 anni prima di Cristo, lasciò i luoghi nativi e andò alla ricerca di nuove terre. Dopo una permanenza nell'Asia Minore, passò in Grecia e poi da qui si diresse, dopo essersi divisa in gruppi nei vari paesi dell'Europa: uno di questi emigrò in Italia. Queste genti vennero chiamati  con il nome di Pelagi, "[...] laonde questo vocabolo non indica nessuna schiatta, nessun popolo speciale, ma ha soltanto il significa cronologico degli aggettivi: vecchio, antico, prisco, primitivo e simili" e si stabilirono in varie regioni, la maggior parte, però, occupò la valle del Fucino. In seguito si mescolarono agli indigeni, dando vita a molte tribù, che a loro volta diventarono autoctone. 

Un migliaio di anni prima di Cristo, provenienti dall'Armenia, altri popoli scesero in Italia: una parte si fermò nella regione, che da loro prese nome di Liguria, e un'altra di tali popoli, detti Osci o Opici (lett. indigeno; i Greci davano il significato di "rustico; ignorante, soprattutto della cultura greca") scese nell'Italia meridionale e ne cacciò i Pelagi o si mescolarono ad essi, dando origine agli Osco-Pelagi.

 

IL SANNIO E I SANNITI

 

"Giusta le tradizioni favolose de' tempi primitivi, un toro salvatico di singolar bellezza guidò i passi di una turba di Sabini nel paese degli Osci mercé un Ver sacrum a Marte. In breve tempo ordì essa una nuova società sotto nome di Sabelli, cioè piccoli Sabini, in seguito chiamati Saunitae da' Greci e Samnites da' Romani. Non istette molto a dilatar i suoi confini ed a primeggiare sulle nazioni limitrofe. [...]".

"Secondo Strabone (V, p. 250) l'emigrazione sannita fu una di quelle compiute per un voto fatto o per quel che chiamasi ver sacrum o Primavera Sacra. Stava, al solito, sotto la protezione di Marte e si suppone fosse guidata da un toro (Strab., l. c.). È probabile da ciò che gli emigranti non fossero numerosi e che si stabilissero nel Sannio piuttosto come conquistatori che come coloni. La popolazione preesistente era probabilmente Osca. Dice Strabone ch'eglino stabilironsi nel paese degli Oschi e ciò spiega la circostanza che in tutto il paese sannitico la lingua parlata era l'osco. Ma gli Oschi stessi erano indubbiamente una tribù congiunta ai Sabini; e quali che possano essere state le circostanze della conquista (di cui nulla sappiamo), sembra certo che in un periodo primitivo i due rami della popolazione eransi compiutamente fusi in un sol popolo sotto il nome di Sanniti". La "ver sacrum" (lett. primavere sacre), "[...] per cui sacrificavasi una parte di tutto ciò che nasceva nel corso d'una primavera, non eccettuati i figli; barbaro costume, a cui fu sostituito il voto di destinare i fanciulli sacrati, divenuti adulti, a cercarsi un asilo fuor patria. Si vuol attribuire a codesta istituzione lo stabilimento dei Sabelli nel Piceno e nel Sannio, e l'immigrazione degli stessi nella Campania e nella Lucania, [...]".

 

Dai Sanniti, in osco Safineis (che presero il nome dal territorio originariamente chiamato dai greci Tαυρήσιον [lett. Tafrision = Taurasia, non per niente ancora oggi nell'arme della prov. di Benevento compare il toro], discesero quindi varie tribù o popoli, di cui i rispettivi confini sono così intralciati, che lasciano vasto campo alle congetture: i Pentri (Sanniti Pentri), che abitavano la parte centrale (nell'odierno Molise e Beneventano); i Caudini (per T. Livio, Samnites Caudini, XXIII, 41; Caudinus Samnis, XXIV, 20), abitavano la parte sud-occidentale, alle falde del Taburno (Caudinus Taburnus) e nella valle, il cui territorio ad occidente confinava immediatamente con la Campania; gli Irpini  (Sanniti Irpini), abitavano la zona meridionale, "[...] nelle radici opposte al monte Taburno e nelle colline che gradatamente discendendo le une dietro le altre, giungono fino alla Puglia piana. [...]"; i Taurasini [i quali furono guidati da un “toro”] e si possono far risalire ai primi tempi della migrazione, abitavano la parte centro-meridionale; Secondo Strabone anche i Frentani discesero direttamente dai Sanniti, si stabilirono lungo l'Adriatico fino al Fortore; i Caraceni, citati soltanto da Tolomeo, abitavano il settentrione, nella parte montuosa; e "secondo la testimonianza generale degli antichi scrittori, i Lucani erano una razza Sabellica, un ramo della nazione Sannitica, il quale, separandosi dal corpo principale di quel popolo, nell'istessa guisa dei Campani, degli Irpini e dei Frentani, si spinse sempre più oltre a sud e si stabilì nel paese che da essi prese poi il nome di Lucania". "[...] Che si dilungarono nella regione degli Enotrj, la quale, allargandosi dentro terra, occupava tutto il lato occidentale della penisola da Taranto fino a Pesto. [...]"


"Il Sannio, od il territorio delle valli del Sangro e del Tiferno fino a quella del Frento sull'Adriatico, e le altre vali del Volturno, del Calore e del Sabato verso la Campania. [...]". "[...] E in quello spazio si costituì la confederazione sannitica che si compose di Caudini, Pentri, Irpini, Caraceni e Frentani. Le città principali dei Sanniti Pentri erano: Telesia, Esernia, oggi Isernia, Allife e Boviano; degli Irpini: Aquilonia, Abellino, Eclano, Erdonia, Taurasia, Cominio, Romula, Consa; dei Caraceni o Soriceni le città piu notevoli erano: Anfidena, e la città detta Sannio; dei Frentani: Ortona, Auxano o Ansano, e Larino; e dei Sanniti Caudini erano Benevento (1) e Caudio. Ma in Boiano aveano luogo le assemblee generali della confederazione sannita".

 

(1. Molti autori, e forse i più, annoverano Benevento tra le città Irpine, e anzi la ritengono per la principale di tutte. Ma io mi attengo all’opinione del Micali e di Atto Vannucci, i quali stimano che Benevento appartenne sempre ai Sanniti Caudini).


"I sacerdoti erano i ministri del culto pubblico, e i custodi ed interpetri delle leggi divine ed umane. Essi eran divisi in gerarchia, in cima alla quale era il pontefice eletto dal popolo. I Sanniti tributavano onori speciali a Marte Dio della guerra, e medesimamente a Giunone si tributavano grandi onori, come Dea generale delle nozze, e speciale favoritrice del Sannio, ove era invocata col nome di Hera. A Bacco del pari i Sanniti non erano meno larghi di onori, e molti templi a lui dedicaronsi; di cui uno acquistò assai celebrità in Boiano. A Giano altresì si rendeano divini onori, perchè credeasi essere stato il primo a insegnare al popolo l’agricoltura (Galanti, Saggio sulla storia degli antichi abitatori d’Italia). Anche Cerere, Vulcano, Venere, Ercole, Minerva, Giove erano divinità sannitiche, e la prima avea culto in Isernia, ove era invocata col nome di Dea Libera. Le mogli e le figlie dei sacerdoti, appo i Sanniti, reputavansi profetesse, consultavano gli oracoli, e davano responsi.

 

Niuna spanna di terra fu dai Sanniti lasciata incolta. Essi solean dire che la terra è un bene comune, di cui a ciascuno spetti una parte; ma che a un tal dritto sia inerente l’obbligo di coltivarla, e che il campo derelitto, dopo un certo novero di anni, torna novellamente alla universalità degli uomini. Il bue, emblema dei Sanniti, denotava che essi erano agricoltori; e quando si resero potenti e forti posero ogni cura all’esercito, il quale si divideva in coorti, ognuna di 400 uomini (Niebhur, vol. 2 pag. 371). A tutti incombeva l’obbligo di andar soldati in tempo di guerra, e di erudirsi nelle arti della guerra in tempo di pace. Eleggevano nelle guerre un capo militare, sovrano, che appellavasi Embrutur, vocabolo che modificato in Imperator passò ai latini per significare il generale in capo. Così difatti Tito Livio chiama il comandante supremo dei sanniti, e l’assimila a un direttore, o a un pretore latino (Niebhur, storia romana, pag. 84). Lodevolissimi erano presso i Sanniti gli ordini della milizia, per modo che lo stesso Cesare scrisse che i romani aveano appresa gran parte dell’arte della guerra dai Sanniti, la qual cosa credo che si ebbe ad avverare nel tempo della loro alleanza.

Le città sannitiche erano quasi tutte fortificate, e non sarebbe stato possibile espugnarle che dopo lungo e faticoso assedio.

 

Ma, a certificare quale fosse stata la coltura dei Sanniti in tempi remotissimi, assai rileva il considerare in quanto pregio avessero la donna, poiché soventi volte da ciò più che da altri fatti, è dato desumere il grado di civiltà d’una popolazione.

Le donne sannite, traevano vita laboriosa ed austera (Coco, Platone in Italia) ed erano specialmente abili a lavorare di lana, e a dare ottimo assetto alle faccende domestiche, come afferma lo stesso Orazio. Negli altri popoli antichi la donna era tenuta a vile, e ognuno rammenta il celebre epitaffio sculto a tutta lode sulla lapide sepolcrale d’un’illustre matrona romana: Domi mansit, lanam fecit. Ma tra i Sanniti la donna contribuiva efficacemente alla educazione e prosperità di un paese, e si reputava come il solo giudice competente a conferire adeguati premii al valore, alla virtù, e ad ogni nobile azione eseguita in prò della patria. Laonde nel Sannio non era in balia dei padri eleggere, a seconda delle loro brame, lo sposo alle proprie figlie, e ai giovani di torre a lor talento la propria consorte; poichè, come riferisce Strabone, il governo volle far uso del dritto di destinare in tempi prefissi dieci delle più avvenenti e culte donzelle ad altrettanti giovani virtuosi, e che aveano meglio meritato dalla patria. E perciò un tal sistema (Quadri, Italia antica) fu il solido fondamento della prosperità degli individui, e della grandezza e potenza della nazione; per cui, a rendere più solenni le nozze, in ogni primavera il popolo costumava di convenire nei campi Marzii presso Boiano, e tra i suoni e i canti, frammezzati alle invocazioni dei sacerdoti, si celebravano i matrimonii.

 

Con tali istituzioni non è a meravigliare se i Sanniti avanzarono in civiltà tutti gli altri popoli d’Italia, e se per dovizia e potenza sovrastavano agli stessi Romani; però ad essi facea difetto l’unità politica, e non mai tutti gli stati del Sannio intesero concordemente a combattere il comune nemico per conservare la patria indipendenza. [...]"

 

Isernia E.,  "Istoria della città di Benevento dalla sua origine fino al 1894", Cap. III, pp. 33-35.

 

L'IRPINIA E L'IPOTESI DI UN NOME

 

 "Formavano gl'Irpini, nazione assoluta ed indipendente da' Pentri, da' Caudini e da' Caraceni, ed avevano a parte ordini militari e civili. La loro regione compresa presso a poco nell' attuale Principato ulteriore, era circoscritta da una linea che tratta pel corso del fiume Sabato presso Montefusco toccava il lato orientale del territorio di Benevento; da una seconda che diretta al nord seguiva il corso del fiume Tamaro sino ad una delle sue sorgenti presso Monte Falcone; da una terza che volta al sud, passava sotto Bovino e scorreva sino a Conza;  da una quarta che curvata passava per Montemarano verso il sud, e risaliva verso I' ovest, sino a Montefusco".

 

Da "Irpo" (Hirpus, cioè da un sacerdote, che guidava la ver sacrum). Ora, siccome "Irpo", parola osca che in latino e greco significa "lupo", ecco che secondo la tradizione, questo popolo era stato originariamente portato nel suo habitat storico da un lupo, perciò la loro terra fu chiamata Hirpinia. Secondo Festo, “Irpini adpellati lupi nomine, quem Irpum Samnites dicunt" e per Strabone (V),  "et de lupo, fabuloso Hirpinorum, coloniae Samnitium, deductore", per il Mommsen (Storia di Roma Antica, cap. V, p. 103), "una terza colonia sotto l'insegne di un lupo (hirpus) fermò stanza ne' pressi di Benevento, e prese nome di Irpini". Ma nelle fonti storiche vi è anche una città chiamata Hirpino, da identificarsi con l'odierna Arpaia, non lontana "doue fu l'antica città di Caudio", "[...] già capitale della tribù caudina e celebre per le Forche Caudine".

 

ORIGINE DEGL’IRPINI, ET INSEGNA DE’ SANNITI

 

Ritennero i Sanniti per molto tempo il nome, che nel principio haueuano qui preso; mà per vn caso, che gli auenne, parte di essi ne fè mutatione, dinominandosi Irpini; e con qual occasione tutte ciò succeduto, è parimente nel seguente modo da Strabone raccontato. Mentre i Sanniti conducevano vna Colonia nel luogo, in cui disignato haueuano di collocarla, per camino fe gli fè incontro vn lupo, qual essendo da lor seguito, gli feruì ad vn certo modo per iscorta. E perche era in quei tempi il Lupo da Sanniti in lor lingua chiamato Irpo, con questa occasione furon essi poi con tutto quel paese Irpini appellati. E tal nome ritennero per molti secoli, e fin a gli estremi tempi della guerra sociale, che nell’anno 662, di Roma à succeder venne, anni 90 auanti la venuta del Signore, come per autorità di Liuio è riferito dal Sigonio. Et ancorché dopo detta guerra nominati si trovino appresso Plinio, e Tolomeo, non perciò stimar si deue, che fussero in vigore, e da se soli in quei tempi si mantenessero; mà si nominano per cagion del loro paese, doue sono alcune Città, de quali fanno essi Autori mentione. E quantunque mutassero il nome, non cessarono però d’esser gente Sannitica, conforme riferisce Strabone da molti altri seguito. Ordine dehino sunt Hirpini, et ipsi Samniticae gentis. Il che comprende ancora per Liuio in più luoghi, ne quali dimostra, che tali fussero, e con esso loro militassero fin’alla seconda guerra Punica, e più volte poi distinti da gli altri Sanniti li pose, & in questa da se soli, e senza quegli militatono, & ad Annibale in compagnia d’altri popoli si diedero, à mente ancora di Polibio, il che à cader venne all’anno 534 di Roma, anni 218 auanti la venuta del Signore, come tutto ciò è anche affermato dal Sigonio, e dal Cluuerio. Si vedono in molti luoghi de Sanniti alcune teste di Tori scolpite con molto artificio in marmi, & in gran numero in Beneuento, Boiano, Isernia, & altroue, e grandi e picciole. In alcune sono teste scolpite de Boui solamente, & in altre sono di più intramezzate altre figure di diuerse maniere, poste in mètapi in mezzo à triglifi, come persone con haste lunghe in mano in atto di combattere, e con arnesi da soldati, cioè feudi, corazze, elmi, e simili; e tali teste coronate si veggono à quel modo, che gli antichi le vittime coronar soleuano, quando à sagrificar le portauano. Questa impresa esser dimostra di quei primi Sanniti, i quali ciò presero in memoria di quel Toro, che fù loro condottiero, datoli da genitori, e questa vsarono per arme, & insegna; & oltre à quel che apertamente se ne vede, viene altresi ad vn certo modo affermato dal Casella de Aboriginus con queste parole. Primi enim Sabelli Tauro duce dispositi sunt. Vendè, et Taurus insignis praeferunt. Il Toro forse dipinto portauano nelle bandiere à quella guisa, ch’altri il Lupo, altri l’Aquila, altri il Cauallo, & altri altre imagini d’animali, con questi dinotando ciascun il pregio delle sue virtù secondo il lor intento à giuditio di Giusto Lipsio de Militia Romana; dando essi ancora coll’effigie di si forte animale ad intendere il lor valore, e possanza, con cui queste si possono anzi vengono ben significate, per esserne quel dotato à par d’ogni altro.

 

Ciarlanti G. V., “Memorie Historiche del Sannio”, Isernia 1644, pp. 13-14

 

IL TERRITORIO IRPINO

 

L'etnografia e la geografia degli Irpini dal 600 a.C. in poi non vengono messe in dubbio. Scritti antichi e scoperte archeologiche dimostrano l'esistenza di un popolo sannita e di lingua osca (parlata che "[...] ha molta affinità con la latina, ma fu sempre poco nota, poichè tra gli Oschi prevalse l’usanza di molto operare e di scrivere assai poco e quindi rimase in gran parte dialetto vanamente modificato dalla fusione degli Osci primitivi con altri popoli contermini della medesima schiatta. La loro lingua coi varii suoi dialetti si diffuse dal Tevere fino alle estremità meridionali d’Italia, rimanendo lunga stagione nel popolo dopo che ebbe perduta la sua indipendenza; e infine concorse potentemente alla formazione della lingua latina. [...]"), che viveva in direzione est della Campania, nel territorio che si estende per circa 60 miglia in prossimità di Lucera (Luceria), colonia latina fondata da Roma nel 314 a.C., e dei monti Dauni. A sud l'Olfanto (l'Aufidus tauriformis di Orazio), separava gli Irpini dai Lucani anche se Conza (Compsa), che si trova a sud del fiume, era irpina. A nord il Calore (Calor), affluente del Volturno, è il più sannita dei fiumi, fino a un certo punto separava gli Irpini - con il territorio occupato dai Taurasini, l'Ager Taurasinus - dai Pentri, Sanniti per eccellenza. Per la loro vicinanza alla Magna Grecia e alla Campania ellenizzata, gli Irpini erano esposti alle influenze della cultura greca molto più di quanto lo fossero i loro vicini Pentri, che abitavano una zona degli Appennini molto più alta e meno accessibile. Tuttavia gli Irpini erano autenticamente Sanniti. Erodoto (VII, 170) dice che: "Gli Irpini erano un popolo selvaggio, avvezzo a soggiornare nelle caverne e a cibarsi di cacciagione, nonché di frutta che la terra spontaneamente produceva". Caio Silio Italico: "Hirpinaque pubes, hos venatus alit, lustra, incoluere, sitimque avertunt fluvio, somnique labore parantur". Livio, mette gli Irpini al rango di nazione e dice che in guerra, sfoggiavano un lusso eccessivo. L'armamento del soldato irpino, infatti, era formato da uno scudo orlato d'oro o d'argento, da uno stivaletto che calzava alla gamba sinistra, da un elmo con pennacchio variopinto e da una lunga lancia. Le recenti scoperte ce li presentano nel periodo più importante della storia, i sec. V e IV. I primi ritrovamenti archeologici risalgono all'incirca al 420 a.C. quando, secondo scrittori antichi, i Sanniti si impadroniscono di Capua e di Cuma. 

 

Per quanto ne sappiamo anche le istituzioni politiche erano tipicamente sannite; essi, infatti, erano organizzati in "vici" e "pagi" amministrati da "meddices" (magistrati) i quali, anche se eletti democraticamente, sembrano provenire tutti da gruppi di famiglie appartenenti all'aristocrazia fondiaria.

LE GUERRE CONTRO ROMA

 

Tutte le tribù che facevano parte di quella Lega Sannitica, nei secc. IV e III a.C., combatterono aspramente contro Roma per la supremazia sull'Italia. Tuttavia nelle narrazioni storiche delle tre Guerre Sannitiche (343-298 a.C., con la battaglia delle Forche Caudine [Caudinae Furcae] nel 321 a.C. "Gli antichi dissero Forche Caudine la valle che giace fra Arienzo ed Arpaia, la quale prese un tal nome dal villaggio che in latino si dimandò Furchae o Forculae, vocabolo che nei tempi di mezzo si trasformò in quello di Furcae, da cui ebbe origine il nome di Forchia nel nostro idioma, e dalla città Caudio che fu poi distrutta, e che era posta alle falde dell’aprico monte che sovrasta Arpaia, città di moderna fondazione, ebbe l’epiteto di Caudine, donde il nome di Forche Caudine") e della guerra di Pirro (280-275 a.C.), gli Irpini non vengono mai menzionati con il loro nome, l'omissione appare comprensibile se teniamo presente che i resoconti giunti fino a noi derivano da fonti romane; e Livio dice che i Romani combattevano contro il Sannio, considerandolo un'unica grande regione che parlava la stessa lingua, senza prestare attenzione alle varie tribù che la componevano.

 

 "[...] i Sanniti, messi alle strette dai Romani, chiesero a Pirro che non indugiasse a correre in loro soccorso. Egli allora approdò a Taranto con una armata di barbari mercenarii, e si avanzò col grosso dell’esercito contro Curio Dentato, e lungo le rive del Calore, nella pianura che giace tra Taurasi e Benevento, tentò di coglierlo alla sprovveduta nelle proprie trincee, ma andato a male siffatto tentativo, esso fu causa della sua disfatta. E in questa battaglia gli stessi elefanti agevolarono ai Romani la vittoria, poichè, punti col ferro e col fuoco e messi in fuga, scompigliarono in un attimo tutte le ordinanze di Pirro. Curio Dentato celebrò con un solenne trionfo una sì grande vittoria conducendo dietro al suo carro Molossi, Tessali, Macedoni, Appuli, Bruzi, Lucani, Sanniti e i famosi elefanti di Pirro che incussero un tempo tanto terrore ai Romani, e che, a rendere più fastoso il trionfo, seguivano i vittoriosi destrieri [...]".


Fino al racconto di Polibio della seconda guerra punica gli Irpini non compaiono mai, quando dopo Canne (Cannae), nel 216 a.C., insieme ai Caudini, unirono la propria sorte a quella di Annibale, ai Romani rimasero fedeli i Pentri. "[...] Annibale dalle Puglie si recò negli Irpini, e gli fu dato, senza colpo ferire, di occupare Consa, che in certa guisa potea essere ritenuta, come or si direbbe, per il capoluogo degli Irpini, […]. Ma il pretore M. Valerio Levino e il console Marcello, fronteggiando Annibale per ogni dove, corsero in più riprese le terre degli Irpini e dei Sanniti Caudini ponendole a ferro e a fuoco, ed espugnarono varie città, le quali eransi date spontaneamente al nemico. Laonde i Sanniti, dolenti di Annibale, gli spedirono legati, i quali gli posero sotto occhio le loro miserevoli condizioni, e n’ebbero vane promesse di aiuti e di premio [...]".

 

La persistente ostilità nei confronti di Roma da parte degli Irpini, definiti da Caio Silio Italico (De bello punico II, libro 17, XI, 11-13) "Tum gens Hirpini vana indocilisque quieti, Et rupisse indigna fidem: ceu dira per omnes Manarent populos fœdi contagia morbi" (lett. "Innanzitutto come un irpino vuoto, silenzioso e impaziente, non degno di fiducia, come l'infezione fatale di persone iniettate di sangue"), costò tuttavia molto cara, ampli territori in Apulia e nel Sannio furono confiscati allo scopo di provvedere allo stanziamento dei veterani della guerra, in particolare quelli di Scipione l'Africano.

 

I Taurasini se non i più forti di quella Lega, essi erano secondi solo ai Pentri. I Romani li privarono più volte di parte del loro territorio che divenne "agro pubblico del popolo romano", Tito Livio in Urbe condita storia (XL, 37; 38), riporta: “[…] Ager publicus populi Romani erat in Samnitibus qui Taurasinorum fuerat […]”(lett. "[...] Vi era tra i Sanniti un agro pubblico appartenuto una volta dai Taurasini [...]"), ma le vicende di queste confische sono narrate in modo talvolta impreciso. In questo territorio, nel 181-180 a.C., per ordine del senato di Roma furono deportati ben 40.000 Liguri Apuani. "Primieramente veniamo a comprendere quai fossero stati i popolo Liguri Corneliani, e Bebiani di Plinio negl'Irpini, così detti, perchè furono qui da questi due consoli trasportati, da cui ritennero il nome. In secondo risappiamno, che il gran campo a' Liguri assegnato fosse stato una volta de' Taurasini, la città appellar dovevasi Taurasium. Ci espresse Livio, ch'essi trovarono qui tutte le abitazioni, senza il bisogno di doverle edificare, e che il denaro ad essi assegnato servir solamente doveva per comprarvi i mobili, ed altre cose necessarie... Esisteva adunque la città al loro arrivo, ma orba, e deserta di abitanti, dopo tante ruine, che aveva da' Romani ricevuta". Una seconda spedizione di 7.000 uomini seguì poco dopo. Sembra tuttavia che ai Liguri, una volta stanziatisi nell'Ager Taurasinus, sia stata concessa una completa autonomia amministrativa.

 

Ancora una volta i Romani sembrano essersi liberati delle popolazioni di lingua osca. In ogni caso gli Irpini persero dei territori nel sud, molto probabilmente fu confiscato dai Romani un noto Santuario dedicato alla dea Mefite, nella valle d'Ansanto (Amsanctus), immortalata da Virgilio. Naturalmente gli Irpini avevano altri Santuari, ma la perdita di quello principale deve essere stato molto doloroso per loro, poiché tutti gli irpini veneravano questo tipo di santuari come simboli fondamentali di solidarietà tribale. Inoltre sembra che i Romani abbiano costretto gli Irpini a cedere anche parte della loro terra nella valle dell'Ufita.

 

Le perdite di territorio lasciarono gli Irpini indeboliti e amareggiati. Perciò, quando nel 90 a.C. gli Italici si levarono contro Roma, nella guerra sociale, "[...] secondo le più accreditate opinioni degli autori, prese origine dalle dimande mosse al Senato dalle città socie dell’Italia, per essere ammesse a partecipare compiutamente alla cittadinanza romana. E a conseguire l’egualità coi loro oppressori intesero prima con ogni loro sforzo alcuni individui, poi le intere città, e da ultimo molti popoli congiunti in formidabile lega [...]", lo stato irpino, smembrato, si unì agli insorti. Non è facile valutare la sua grandezza in questo difficile momento per l'incertezza che regna circa l'estensione completa delle sue perdite territoriali.

"Ma benchè Silla empisse di strage l’Italia intera, pur tuttavia addivenne il Sannio il teatro principale delle sue più efferate crudeltà. E invero, come ebbe dato fine alle sue vendette in Roma, trasse nel Sannio, e dopo avere presa di assalto la città di Nola, ultimo propugnacolo dei Sanniti, affermando che sarebbe stata sempre a repentaglio la sicurezza di Roma, finchè fosse serbato in vita un solo Sannita, decise la distruzione di tutte le città Sannite che gli si erano dichiarate ostili, e fece un deserto d’innumerevoli borghi, sicchè nel volgere di brevissimo tempo l’intero <Non fu che solitudine e ruina> [...]". "Dopo breve riposo, egli traversò i monti della Campania, prese di assalto Eclano, e [...] sommise una porzione del paese degl'Irpini [...], "[...] solo delle città Sannite rimasero inviolate Venosa e Benevento, le quali, da che divennero colonie, si mantennero sempre fide a Roma, e nella esecranda guerra civile rifuitaronsi di favorire il partito di Mario".

 

È risaputo che, dopo il conflitto fu particolarmente colpito l'Ager Hirpinus in amplissima parte divenuto preda degli avidi seguaci di Silla, i rapaci "possessores Sullani", guidati da  C. Quinctius Valgius, padrone, secondo Cicerone (de Leg. Agr. III, 2, 8), di grandi estensioni di territorio. La popolazione fu vicina allo sterminio e il paese devastato, scrisse Anneo Florio: "ita ruinas ipsas urbium diruit, ut hodie Samnium in ipso Samnio requiratur; nec facile appareat materia quatuor et viginti triumphorum", ma di rilevante importanza fu l'acquisizione della cittadinanza romana a seguito della Lex Julia (voluta da Caio Giulio Cesare), i Pentri furono iscritti alla tribù (elettorale) ‘Voltinia’, Caraceni e Frentani (tranne Larinum) alla ‘Arnensis’, la maggior parte degli Irpini alla ‘Galeria’, ma i Taurasini alla Cornelia’, sui criteri che determinarono la scelta delle tribù romane, si ritiene che sia stata confermata la tribù assegnata precedentemente ai singoli coloni.

LE "COLONIE" ROMANE IN HIRPINIA

 

L'elenco di Festo delle comunità italiche redatto nelle "praefecturae" romane non comprende alcuna colonia irpina.

Un centro, che fu annesso alla fine della guerra contro Pirro, fino a quel momento quasi certamente "caput" o sede amministrativa degli Irpini, acquistò in seguito, un'importanza nevralgica per l'Italia meridionale, si chiamava Malventum (Malevento), "capitale dell'intiero distretto", è probabile che il nome osco o sannita fosse Maloeis o Malieis, "[...] e altri scrittori aggiungono che la città nostra fu appellata Malvento per la perdita di 30 mila Sanniti caduti sotto l’armi romane l’anno del mondo 3612 e 440 dopo Roma. [...]. Procopio credeva che Malventum si fosse chiamata la città, perchè dominata da un malo vento [...]". "V'ha qualche discrepanza intorno al popolo a cui apparteneva; Plinio l'assegna recisamente agli Irpini; ma Livio par la consideri come appartenente al Sannio proprio distinto dagli Irpini e Tolomeo è del suo parere". Quando i Romani se ne impossessarono e nel 268 a.C. la resero "colonia" (ovvero abitata da cittadini Romani), cambiarono il suo nome in "Colonia Iulia Concordia Aug[usta] Felix Beneventum" [Benevento] (Liv., Epit., xv; Vell. Pat., 1, 14) e ([...] ciò per allontanarne, secondo la loro vana superstizione, il cattivo augurio, ed alludendo al buono evento di quella guerra [...]). Secondo Plinio "Coloniam Beneventum, auspicatius mutato nomine, quae quondam appellata Malventum". E Festo con maggiore chiarezza scriveva "Beneventum, cum colonia deduceretur, appellari coeptum esse melioris ominis causa cum eam urbem Graeci incolentes ante Maleventum appellarent". Essi fornirono ai "coloni" un grande "territorium", secondo il Garrucci, "il tenimento assegnato e diviso alla colonia latina di Malventum nell’anno di Roma 486 aveva a Ponente Caudium, a settentrione Telesia e l’agro pubblico del popolo romano tolto ai Taurasini, e ad Oriente Equus Tuticus, a mezzogiorno Aeclanum", con questo Roma separò i Caudini, situati ad ovest dal resto dei Sanniti. Per quanto riguarda gli abitanti di Malvento, che parlavano osco, furono probabilmente sterminati, espulsi, o resi schiavi. Nel Sannio, un'altra colonia fu stabilita ad Aesernia, nel 263 a.C.

Solo dopo la partenza di Pirro dall'Italia e lo smantellamento della Lega Sannitica, i Romani, nel perseguire la loro caratteristica politica del "divide et impera", cercarono sempre di differenziare una tribù sannitica dall'altra.

"Col[onia] Ven[eria] Livia Aug[usta] Alexandrian[a] Abellinatium", Abellinum (Atripalda), sui confini della Campania e nell'alta valle del Sabato (Sabatus); "[Colonia] Aelia [Augusta Ae] cla[n]um" Aeclanum (Mirabella Eclano), "[...] città tra le più cospicue degl'Irpini [...]".

 

LE CITTA’ IN "HIRPINIA"

 

"Nel paese degli Irpini stavano": Compsa (Conza della Campania), "presso le origini dell'Ofanto e confinante con la Lucania, sì che Tolomeo gliel'assegna" ed Aquilonia (in osco Akudunniad; Lacedonia), confinante con la Daunia. Taurasia (Taurasi), città famosa degl’Irpini, e di cui tanto si è scritto, ricordata nel celebre epitaffio di L. Cornelio Scipione Barbato, lasciò il suo nome ai "Campi Taurasini, non lungi da Benevento e doveva perciò essere situata in quella vicinanza"; Cisauna (“[…] chi la vorrebbe a Chiusano per la sola analogia del nome, e chi a Locosano […]”, luogo di villeggiatura dei Taurasini, “[…] quando, essendo stati infermi, per riaversi, li era di mistero far mutatione d’aria […]”. Mentre nell'Ager Taurasinus (lett. "Campi Taurasini"), tra la valle del Calore e del Tammaro (Tamarus), stavano i "Ligures Baebiani et Corneliani", colonia di Liguri Apuani, a cui era stata concessa una completa autonomia amministrativa e che continuò ad esistere quale comunità separata fino ai tempi di Plinio, in questo territorio vi doveva essere Samnio, dalla posizione dubbia. Delle altre, si ricordano Romulea (Bisaccia), ricca e forte, "sopra un'erta falda dell'Appennino", presso le frontiere dell'Apulia; Trivicum (Trevico), nella medesima vicinanza ed Equus Tuticus (s. Eleuterio, presso Castelfranco in Miscano), anch'esso nelle vicinanze della frontiera dell'Apulia e a nord di esso Murgantia (Baselice), detta da Livio (X, 17) la rapida urbs, presso le sorgenti del Fortore, la quale è la città più avanzata degli irpini verso nord-est. Aletrium (Calitri), nell'alta valle dell'Ofanto e di cui il nome occorre in Plinio (Aletrini, III, s. 16). Amarano; Sabatia, a breve distanza dal Sabato, "sui monti soprastanti all'odierna Volturara"; Fulsulae (forse Montefusco); Fratuentum (Monticchio, presso sant'Angelo dei Lombardi), secondo il Frontino, città nelle vicinanze di Taurasia; Ferentinum (Ferentino), "forte per natura e per arte", nota da Livio, saccheggiata dall'esercito di Fabio Massimo; Cluvia (Buonalbergo) "[...] più verso i monti sannitici stava quest'altra città degl'Irpini [...]"; Pauna; Volana (forse Anzano) e Palumbinum (Palombino, forse Villanova del Battista). Delle città minori tre Vercellium, Vescellium (Vescellio) e Sicilinum sono ricordate da Livio come riprese dal pretore M. Valerio Levino nel 215 a.C., ma il loro luogo è incerto. Forum Novum (tra Paduli e Buonalbergo), verso i confini del Sannio e dell'Apulia.

FINE DEI SANNITI

 

"Le conseguenze furono più funeste delle guerre di Pirro e di Annibale. Restò da quell'ora il paese del Sannio quasi tutto distrutto, e vennero le città o distrutte o ridotte a piccoli villaggi". Lo stato tribale fu smantellato e le principali colonie (come Beneventun, iscritta alla tribù Stellatina) furono trasformate in confederazione civiche autonome, in altre parole, in "municipia" romani ("Si diceano Municipii quei luoghi o città, i cui abitatori, quantunque forestieri, erano ammessi alla cittadinanza romana: però senza la facoltà di dare i voti, e di ascendere ai magistrati. Laonde i cittadini dei municipii aveano due patrie: quella in cui sortirono il nascimento, e l’altra che conferiva ad essi la cittadinanza. [Cicerone de leg. II,— Ausonio]"). È chiaro che attraverso l'identificazione di questi "municipia" si possono individuare i più importanti luoghi intorno all'anno 100.

Secondo la divisione d'Augusto, la Campania, in un col Lazio, formò la prima regione d'Italia (Plin., III, 5); gli Irpini furono separati dagli altri Sanniti ed annessi alla Seconda Regione, e posto, coll'Apulia e la Calabria. La lista di Plinio delle città è insolitamente oscura e le irpine sono mescolate in maniera confusa con quelle dell'Apulia (Naturalis Historia, libro III, 16, 6:  "Caetero intus in secunta regione. Hirpinorum colonia una Beneventum, auspicatius mutato nomine, quae quondam appellata Maleventum: Aeculani, Aquiloni, Abellinates cognomine Protropi, Compsani, Caudini: Ligures, qui cognominantur Corneliani, et qui Bebiani: Vescellani, Aeculani, Aletrini"); mentre il Sannio stesso fu compreso nella Quarta Regione. "[...] Probabilmente sotto Adriano, Benevento, col vasto territorio dipendente da esso ed apparentemente anche le altre città degli Irpini, furono annessi alla Campania; mentre dall'altra parte, il nome par fosse gradatamente applicato a tutta la prima regione di Augusto. Noi troviam quindi le Civitates Campaniae, come son notate nel Liber Coloniarum (p. 229), comprendenti tutte le città del Lazio e quelle del Sannio e degli Irpini [...]".

In un periodo posteriore questo distretto fu scomposto e il Sannio costituì, col paese dei Frentani, una provincia separata. La Provincia Samnii è reiteratamente mentovata nelle iscrizioni del IV secolo ed era governata da un ufficiale detto Praeses (Mommsen, Die Lib. Col., p. 206). La stessa denominazione continuò ad essere in uso dopo la caduta dell'Impero Romano e il nome di Sannio qual provincia separata rinviensi in Cassiodoro e in Paolo Diacono (Cassiod., Var., xi, 36; P. Diac, Hist. Lang., 11, 20). Le sole città in essa che conservarono una qualche importanza al tempo di Paolo Diacono furono Aufidena (ora Alfedena), Isernia e Benevento.

 

TUTTE LE STRADE PORTAVANO A...

 

"Nonostante il suo carattere aspro e montagnoso il paese degli Irpini era attraversato da parecchie strade romane che si possono considerare come connesse alla via Appia. La linea principale di questa celebre strada andava in primo luogo direttamente da Capua a Benevento, ove biforcavasi in due rami: uno conducente per Eclano, Bisaccia (Romulea) ad Aquilonia o Venusia (Venosa) e quindi a Taranto; l'altra, nota sotto il nome di Via Trajana, procedente da Benevento per Buonalbergo (Forum Novum) e Sant'Eleuterio (Equus Tuticus) a Troja (Aecae) nell'Apulia e quindi per Ordona (Herdonea) e Canosa (Canusium) a Brindisi. Il loro corso a traverso il paese degli Irpini fu tracciato con grande diligenza da Mommsen (Topografìa degli Irpini, nel Bollettino dell'Ist. Archeol., 1848)". Un’altra importante strada “[...] che da Napoli a Nola, e di là ad Avellino, e poi di sotto i campi Taurasini ad Eclano portava; ove mettendo capo nell’Appia [...],[...] si fa memoria di un certo Tito Claudio Bitinico duumviro di Nola, il quale col permesso dell’imperatore Adriano a sue spese inselciò porzione di quella via [...], la qual via fu soventi volte corsa da Cicerone [...]” (F. M. Pratilli, Della Via Appia …, Napoli 1745, pp. 439-445).

I BARBARI, ARRIVANO I LONGOBARDI

 

Il Cristianesimo in Irpinia fece subito molti proseliti diffondendosi sia nel ceto medio sia nell'aristocrazia senatoria. L'Irpinia fu presente quando i Goti che avevano cercato di resistere nei pressi di Conza furono sconfitti due volte da Narsete e sopportò una esosa per quando breve dominazione bizantina. Ma, i periodi storici più importanti furono quelli dei Longobardi e dei Normanni, ed a queste ultime dominazioni risalgono le origini di gran parte dei centri abitati odierni. Nel 570 i Longobardi fondarono il Ducato di Benevento, ebbe in possesso quasi tutto il territorio che formò più tardi il Reame di Napoli; il ducato era costituito da tanti piccoli distretti, detti gastaldati. Solo il gastaldato di Conza si oppose validamente alle incursioni dei Saraceni. Paolo Diacono parla di Benevento come di una città opulentissima e capitale di tutte le provincie adiacenti. Nell'851 il Ducato di Benevento, in virtù di un Capitolario, fu scisso in tre principati (Benevento, Salerno e Capua) e questa fu la causa della rapida decaduta del regno longobardo (Lomgobardia Minor) e l'origine di quelle guerre civili che tanto afflissero l'Italia meridionale. Mentre Montoro, e tutta la regione estrema della diramazione del Terminio, costituenti parte del gastaldato di Rota, fino al limite con quello di Montella, furono uniti al principato di Salerno, Avellino rimase aggregata al principato beneventano. Come, per ragione di sicurezza il principe di Salerno volle per sé il "gastaldatum Montellam cum omnibus castellis eius", di la dalla cima del Terminio, che guardava le spalle della capitale, così prese per sé i castelli di Serino, Forino, Solofra e Montoro. Intanto, ancora una volta la Campania veniva devastata dai Saraceni e scorazzando in lungo e in largo per l'Irpinia, tra il 900 e il 910, distrussero in maniera feroce Frigento, Taurasi e Avellino.

 

I NORMANNI

 

Il ducato era allora ridotto alla città e a poche terre adiacenti; il rimanente era caduto, con le Puglie, in potere dei Normanni (1008). Il timore di essere anch'esso conquistato dai Normanni spinse Benevento nelle braccia della Chiesa.

I Normanni, divisero il loro territorio in 12 contee, fra esse vi era quella di Frigento (G. Del Re, Descrizione topografica fisica ..., Napoli 1830, tomo I, p. 122). Con questi dominatori il territorio irpino si frazionò ulteriormente, sorsero anche quelle di Ariano e Taurasi e fu teatro di dure lotte tra i vassalli turbolenti e ribelli; nel 1140, Ruggero II d'Altavilla (Hauteville), "dux Apuliae, Calabriae et Siciliae", emana la nuova Costituzione nelle famose Assise di Ariano e batte una nuova moneta il ducato, che è destinata a durare fino al 1860, molti paesi furono devastati durante la guerra tra questo re e suo cognato Rainulfo Drengot, conte di Avellino; quest'ultima città, saldamente fortificata, venne smantellata e distrutta nel 1137.

1638
1638


1642
1642

NASCE IL PRINCIPATO ULTRA

 

Il Giustizierato di Principato e Terra (o Valle) Beneventana (Principatus et Vallis Beneventana), stabilito con le "Costituzioni di Melfi" da Federico II, l'11 agosto 1231, venne diviso col "diploma di Alife" da Carlo I d’Angiò il 5 settembre 1273, perché considerandolo troppo esteso per essere ben governato, in Principatus ultra serras Montorii (Principato Ultra o Ulteriore), con capoluogo Avellino e Principatus citra serras Montorii (Principato Citra), ovvero Principato al di là delle montagne di Montoro (a nord) e Principato al di qua delle montagne di Montoro (a sud). Il confine tra i due nuovi giustizierati era segnato dai monti Picentini.

 

Nel 1581 la sede della Regia Udienza Provinciale passò a Montefuscolo (ora Montefusco).

Nel XVIII sec. la storia dell'Irpinia è alquanto scialba finché non giunse sul trono di Napoli Carlo (III) di Borbone che cercò di reprimere la potenza dei baroni sottoponendo nel 1740 al pagamento delle imposte anche i beni feudali ed ecclesiastici.






IL POPOLO

 

"Hor hauendo [...], resta hora che discorriamo alcuna cosa de i suoi habitatori, i quali sono molto robusti, e forti, e di sana complessione, e tutti nell'armi sono esercitati, nelle discipline riescono eccellenti quei che v'attendeno; ma nella mercatura pochi s'esercitano, e ciò auiene, perchè ogn'uno si gode di suoi beni. Al generale quei che habitano nelle terre vesteno all'vsanza Napoletana, ma non così le donne, lequali indifferentemente vanno vestite, e pochissime, vsano portare la robba sopra della gonnella, ne adornano il capo con acconci veli, ma solamente lo copreno con vna touaglia di tela, ne meno vsano pianelle, ma scarpe e zoccoli. Il proprio colore di questi popoli tira più al bianco, che al fosco, nel ragionare sono altieri, e molto auantatori, et obedienti assai a i loro superiori. [...]", così si esprime S. Mazzella (Descrittione del Regno di Napoli, Napoli 1601, pp. 106-107). 

"Si è osservato che nelle nostre regioni gli uomini sono più belli e più ben fatti delle donne: la ragione potrebbe essere, ch'esse si veggono esposte alle medesime fatiche degli uomini, ond'è da conchiudere che con un temperamento più debole ne risentono maggiormente gli effetti. In Benevento, in Avellino, in Atripalda dove le donne sono meno trapazzate nel lavoro de' campi e negli ufficj domestici, sono più belle che negli altri luoghi.

Gli abitanti di questa provincia per l'influenza del clima sono più attivi della Campania, e molto più dalla natura disposti alle arti [...]. [...] Tutto è un impasto di feudalità e di vanità nelle persone facoltose, che curano molto la scienza del blasone e niente quella dell'agricoltura. Con un'altra direzione questi popoli del Principato sarebbero i più laboriosi del mondo, e per conseguenza i più facoltosi. [...] Gli abitanti di questa provincia sono estremamente vivi e sensibili [...]. Si aggiugne che si è introdotto fra i popoli della provincia quello spirito di lusso che regna nella capitale [...]". (G.M. Galanti, Della descrizione delle Sicilie, tomo IV, Napoli 1790, pp. 268-270).

A. Ranuzzi, Annuario Geografico Italiano, Bologna 1845, p. 116


AVELLINO CAPOLUOGO

 

La rivoluzione francese soppresse il regime feudale, e con Regio Decreto n. 132 dell’8 agosto 1806 "Sulla divisione ed amministrazione delle province del Regno", Avellino ridivenne il capoluogo del Principato Ulteriore (o Ultra). Negli anni successivi (tra il 1806 ed il 1811), una serie di regi decreti completò il percorso d'istituzione delle nuove province con la specifica dei comuni che in essa rientravano e la definizione dei limiti territoriali e delle denominazioni di distretti e circondari in cui venivano suddivise le province stesse (il Principato Ulteriore venne diviso nei distretti di Avellino, istituito nel 1806; di Ariano anch'esso istituito nel 1806 e di s. Angelo de' Lombardi istituito con legge dell'11 ottobre 1817, ogni distretto era ulteriormente diviso in circondari per un totale di 34).

Quando re Ferdinando VII di Spagna concesse la Costituzione si sperò che anche nel Regno di Napoli si potesse ottenere, allora si fece interprete dei desideri del popolo irpino Lorenzo de Conciliis, che collegatosi con i carbonari ed i liberali, fomentò i moti rivoluzionari del 1820 per chiedere la costituzione; quando il re ritrattò le sue concessioni molti irpini furono imprigionati, altri riuscirono a prendere la via dell'esilio e nel 1848 diedero inizio ad una nuova ondata di ribellioni. La Corte borbonica, nel 1860 fuggì a Gaeta ed in Irpinia, il 22 luglio il 3° battaglione del Reggimento "Cacciatori Bavaresi" di stanza ad Avellino furono scacciate; dopo il 7 settembre, con l'ingresso di Giuseppe Garibaldi a Napoli, la provincia ad opera della milizia insurrezionale, venne posta sotto gli ordini del dittatore, in Buonalbergo lo stesso giorno venne proclamato il "Governo Provvisorio Irpino"; il 21 ottobre dello stesso anno il popolo irpino votò l'annessione al Regno d'Italia.

1806
1806
1832
1832

1844
1844

G. De Luca, L'Italia Meridionale o l'antico reame delle Due Sicilie, Napoli 1860, pp. 307-308

 

LA PROVINCIA DI AVELLINO

 

Con Regio Decreto del 17 febbraio 1861, dopo l'aggregazione dell'ex-reame di Napoli al regno d'Italia avvennero nella provincia d'Avellino le seguenti variazioni territoriali. Il circondario di Ariano cedè 11 Comuni alla nuova provincia di Benevento (Apice, Buonalbergo, Fragneto Monforte, Fragneto l'Abate, Molinara, Paduli, Pago Veiano, Pescolamazza, Pietralcina, San Giorgio la Molara e San Marco de' Cavoti) e n'ebbe 7 in compenso dalla provincia di Foggia (Accadia, Anzano degli Irpini, Greci, Montaguto, Monteleone, Orsara Dauno Irpina e Savignano). Il circondario d'Avellino perde 22 Comuni, di cui 3 furono soppressi (Cacciano Fornillo, Montaperto e Sant'Angelo a Cancello) e 19 passarono alla provincia di Benevento (Apollosa, Arpaise, Bonea, Campoli, Castelpoto, Cautano, Ceppaloni, Foglianise, Montesarchio, Pannarano, Paupisi, San Giorgio la Montagna, San Martino Ave Grazia Plena, San Nazzaro e Calvi, San Nicola Manfredi, Tocco Caudio, Torrecuso, Varoni e Vitulano); in compenso però n'ebbe dalla provincia di Salerno (Calabritto, Caposele, Montorio Inferiore, Montorio Superiore, Quaglietta e Senerchia) e 14 da quella di Caserta (Avella, Bajana, Domicella, Lauro, Marzano, Migliano, Moschiano, Mugnano, Pago, Quadrelle, Quindici, Sirignano, Sperone e Taurano).

 

IL SOGNO DELLA REGIONE SANNIO

 

Dopo la costituzione del Regno d’Italia, si creò un movimento di pensiero che sosteneva la causa della ricostituzione, all'interno del Regno, di una entità politico-amministrativa del Sannio. La sua capitale avrebbe dovuto essere Benevento. Sotto la spinta di questa iniziativa locale, anche il Parlamento del Regno si interessò alla questione fino al punto che, durante il governo Crispi (1887-1889), la decisione sembrò presa. Tanto la cosa sembrava fatta che il Consiglio provinciale di Benevento stanziò nel 1890 la somma, per i tempi considerevole, di due milioni di lire per realizzare il Palazzo del Governo, che avrebbe dovuto ospitare gli uffici della Regione Sannio, che si sarebbe dovuta costituire con l'annessione delle province di Avellino e Campobasso. Con il governo di Crispi cadde, però, anche il progetto.

 

Rimase così la provincia di Benevento. Il nucleo si compone dell'antica Delegazione di Benevento del fu Stato Pontificio, a cui furono annessi i seguenti Comuni staccati dalle Provincie finitime: dalla provincia di Avellino i Comuni di Arpaise, Ceppaloni, Montesarchio, San Giorgio la Montagna, Vitulano, Paduli, Pescolamazza e San Giorgio la Molara. — Dalla provincia di Campobasso i Comuni di Pontelandolfo, Morcone, Santa Croce di Morcone, Colle e Baselice. — Dalla provincia di Caserta i Comuni di Solopaca, Airola, Sant'Agata dei Goti, Cerreto Sannita (con circondario), Cusano Mutri e Guardia Sanframondi. — Dalla provincia di Foggia i Comuni di San Bartolommeo in Galdo (con circondario) e Castelfranco. Ma non ebbe quelli di Alife e Piedimonte Matese (in provincia di Caserta), Cervinara e Ariano (entrambi in provincia di Avellino).

L'IRPINIA OGGI

 

Quando si parla di "Irpinia", immediato è l'accostamento, anzi, l'identificazione con la provincia di Avellino. Tuttavia, tale identità è "menomante", nel senso che l'Irpinia, storicamente intesa, è molto più vasta, ricomprendendo territori e genti oggi amministrativamente rientranti nelle province di Benevento, Foggia, Potenza e Salerno, oltre che Avellino. Inoltre, il territorio della provincia di Avellino, che già al 1894 non comprendeva tutta l'Irpinia, era esteso per 3.027 kmq, con circa 415.810 Irpini e 128 comuni, ripartiti tra i tre Circondari, di Avellino (66 comuni, 807 kmq e 183.821 abitanti), di Ariano (26 comuni, 885 kmq e 92.010 abitanti) e di S. Angelo dei Lombardi (36 comuni, 1.345 kmq e 121.942 abitanti).

Purtroppo, ragioni amministrative determinarono, da un lato, l'accorpamento di alcuni Comuni, in modo da conseguire economie di scala (Bellizzi in Avellino, Quaglietta in Calabritto, Tavernola s. Felice in Aiello del Sabato, Chianchetelle e s. Pietro Indelicato in Chianca, sant'Agata di Sotto in Solofra), dall'altro, il "trasloco" di altri Comuni dalla provincia di Avellino alle limitrofe province di Benevento (sant'Arcangelo Trimonte nel 1978) e Foggia (Accadia e Orsara di Puglia [già Orsara Dauno Irpina] nel 1927, Anzano di Puglia [già Anzano degl'Irpini] e Monteleone di Puglia nel 1929, infine Rocchetta sant'Antonio nel 1939).

 

Nel 1930 la provincia fu colpita da un terremoto. Durante la II Guerra Mondiale la provincia fu duramente bombardata, il 14 settembre 1943 Avellino venne quasi rasa al suolo e si contarono molte vittime.

 

Il 23 novembre 1980, la provincia fu colpita da un tremendo terremoto (X° grado della scala Mercalli), che distrusse interi paesi.

 

E’ dell’11 giugno 2006, il tentativo, primo dell’Italia meridionale di cambio di regione tramite referendum, fallito dal Comune di Savignano Irpino per passare con la Puglia.

 

Dal 3 dicembre 2013 (L.R. n. 16 dell'11 novembre 2013 pubblicata sul Bollettino Uff. della Regione Campania n. 63 del 18 novembre 2013), è istituito il Comune di Montoro, mediante la fusione dei Comuni di Montoro Inferiore e Montoro Superiore, separati dal 1829.

1870
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1896
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1902
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1930
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L'ARME

 

"(...) Fa per sua insegna una corona d'oro merlettata, che da Arechi Principe di Benevento si mise in opera la prima volta. (...)".











Superficie territoriale e superficie agraria e forestale dei Comuni del Regno d'Italia (1913)