Maresca e le origini dello stemma della città di Ariano

 

Il volto del dio Giano era nell’antichità simbolo della città

 

Il noto regista Luigi Magni, di recente scomparso, a quanti lo accusavano di avere fatto tutti i suoi films solo su Roma soleva dire “Se non sai da dove vieni, non sai dove vai. Ma non sai nemmeno dove sei”. 

Non può essere diversamente ecco allora il mio appuntamento quotidiano con voi arianesi, perché possiate amare di più la nostra città, ma soprattutto perché possiate preservarla, come si fa con la persona amata.

Uno dei nostri concittadini che amò Ariano fu l’avvocato Antonio (Totonno) Maresca, che le volle dedicare una lunga ode in versi dialettali, pubblicata nel 1954 sul “Notiziario Giorgione”. Era questo un foglio informativo degli spettacoli programmati per lo schermo del Cine Teatro Giorgione con l’aggiunta di notizie varie riguardanti la città.

Maresca fu sindaco dal 1956 al 1958 e fu conosciuto ed apprezzato da tutti per la sua vena poetica e per la sua versatilità. Gli arianesi non mancarono agli appuntamenti settimanali con i suoi versi con i quali presentava sia il tessuto urbano, sia i suoi abitanti percorrendo le stradine, i vicoli e le piazze cittadine. Era una sorta di stradario o di elenco telefonico nel quale figuravano personaggi, famiglie, artigiani e tanti cittadini da sempre legati ad una nobile città blasonata nel passato e decaduta al presente. 

Ed ecco allora i versi di Totonno:

 

Cu ‘na firma a ‘nu dicreto

Stu prisepio arrampicato

Tutto ‘ncoppa a ‘na montagna,

eia Città: come Bilogna

come Geniva e Firenze!

 

C’è l’Orneta e la Faenza

col Savuco e li Pagliare

e il castello di Ruggero,

cu la villa e il Calivario,

senza farvi troppe storie:

E’ UN PAESE VILLEGGIANTE

E SI SPENNE POCO O NIENTE”.

 

Poche righe per dare l’idea dell’intera conformazione del territorio arianese, della sua storia e della sua economia, beninteso di ciò che era non di quello che è oggi. Ariano, adagiata su tre colli ad 832 metri di altitudine, ha un territorio di Kmq. 185,52 all’incirca 4 in più di quello della città di Milano di Kmq. 181,75. 

A leggere quanto scriveva Francesco Antonio Vitale nel suo libro “Memorie Istoriche degli Uomini Illustri della Regia Città d’Ariano”, pubblicato nel 1788, per evitare confusione con altre città la nostra “dicesi comunemente Ariano di Puglia”, denominazione cambiata in Irpino per effetto del decreto N° 839 del 5 giugno 1930 firmato dal re d’Italia Vittorio Emanuele III.

Il 26 ottobre 1952 con decreto dell’allora Presidente del Repubblica Luigi Einaudi Ariano ottenne il titolo di “Città” che nel passato remoto aveva conquistato di fatto per essere popolosa e sede della diocesi con un vescovo residente.

In quel tempo era sindaco della città il senatore Enea Franza, che nelle votazioni del 25 maggio con la lista la Fiamma Tricolore ottenne 4.117 voti pari al 30,8 % dei votanti, superando di gran lunga la Democrazia Cristiana con 2.259 voti, capeggiata dall’avvocato Carlo Flammia. Il Partito Comunista con il simbolo della tromba, capeggiato dal professore Fedele Gizzi, conseguì 3821 voti con una percentuale pari al 28, 5 %. Seguivano il Partito nazionale Monarchico, capeggiato dall’avvocato Vincenzo Scalone, con 1564 voti; il Partito Socialista Democratico Italiano, guidato da Ireneo Viciguerra, con 831 suffragi.

Nello statuto cittadino, approvato con deliberazione consiliare n. 40 dell’11 ottobre 2001, all’articolo 3 comma due si legge “Lo stemma del Comune di Ariano Irpino è d’argento ai tre monti di verde, al naturale, sormontati dalla scritta d’azzurro A I (Ara Iani)”.

Il nome di Ariano nell’antichità era stato sempre legato al dio Giano. E così l’origine venne fatta scaturire, come naturale conseguenza, dai due termini Ara (altare) e Iani (Giano) altare del dio bifronte. 

Infatti era data per scontata la presenza nel nostro territorio di un santuario dedicato al nume latino, tutore delle porte, delle vie e dell’agricoltura in genere.

Uno degli storici locali che diede tale notizia fu il notaio Scipione De Augustino, riportandola nel sua libro “Descitione d’Ariano città della Provintia di Principato Ulteriore Mediterraneo secondo la moderna divisione del Regno”, risalente alla fine del 1500.

Scipione ripercorse la storia antica di Ariano, utilizzando quanto era stato tramandato, impropriamente ed erroneamente, in una apocrifa “vita di Otone Friggipane”, come indicava il Santo eremita, protettore della nostra città. 

Ebbene egli scriveva che quando “Otone” giunse in Ariano, proveniente da Roma, “et entrando in questa città d’Ariano, allettato dalla quiete, da i buoni costumi, dalla Religione, et fedel perseveranza della vita cristiana degli Arianesi, et dall’aer benigno et placido del luogo, quivi si fermò con deliberatione di qui servire Iddio; et fuori della città contigua ad una chiesa di Santo Pietro de i reclusi, con licenza, et vuluntà dell’ordinario, degli cittadini, et di Giordano conte à quel tempo d’Ariano si fabbricò una cella..”.

 

Lo stemma della città

 

Il pellegrino si era stabilito nella periferia sud-ovest di Ariano al tempo del normanno Giordano, conte di Ariano tra il 1102 ed il 1127. Costui, sempre secondo il racconto di Scipione, si fece archeologo al fine di recuperare quel famoso altare di Giano, di cui tanto si parlava, ubicato forse “in un Colle dalla parte di sopra di essa [Ariano], il quale è dalla parte d’oriente del solstitio estivale verso settentrione detto dagli Abitatori ad Sacra Iani”. Doveva trattarsi forse del piano della Croce nei pressi dell’attuale sede dell’Istituto Tecnico.

Dopo otto giorni di scavi Giordano ed i suoi uomini “ritrovarono il Simulacro, la statua, la forma, l’Imagine, l’Idolo et Effigie del Bifronte Giano in diece ò dodice parti fratto, l’Altare, le Colonne, et li vestigi del suo Tempio”. La scoperta fu importante e per questo “successo allegrissimo il detto Giordano Conte, et tutti gli Arianesi insieme per tre giorni continui ne celebrarono feste grandi con giochi, suoni, balli, et canti: con i quali per l’antica origine de cittadini ritrovata, insino al cielo s’inalzavano, et vanagloriavano anco dell’universal suggello nel quale sculto il capo del Bifronte Giano portavano”. 

E così il volto del dio, nei tempi remotissimi, era diventato il simbolo della città e quindi il suo primo stemma era proprio questo, tanto che lo si vedeva raffigurato “nelle porte della città, et degli pubblici Edifici, et nell’insegne; et vessilli il capo con il petto di Giano scolto [scolpito] o ver dipinto..”.

Scipione, continuando il racconto, scrisse che il “sant’uomo”, vedendo “la vana allegrezza del Conte et degli Arianesi in haver trovata l’origine della città”, pensò bene di intervenire per il pericolo della perdizione in cui poteva cadere il popolo. Iniziò a predicare e così cominciò a parlare “a gloria di Dio, et salute et beneficio dell’aneme loro” ed “egli con una santa orationetta corresse il conte et gli Arianesi di questa vanità”. 

Fin qui la leggenda, che oggi viene tenuta in vita nello stemma come sopra si è detto. Ma se ritorniamo al notaio de Augustino possiamo apprendere che il santo eremita Oto convinse i cittadini a rimuovere “la pietra dal già detto luogo ad Sacra Iani ove di nuovo drizzata l’havevano per mantenere la memoria dell’origine della loro città”. 

Non solo fece rimuovere la stele, ma fece eliminare l’immagine profana “da tutti gli edificij publici, et dalli vessilli, et insegne della città l’arme antiche di quella, nelle quali scolpita o figurata l’effigie del Bifronte Giano si scorgeva”.

Inoltre suggerì di rappresentare lo stemma cittadino in altra foggia, proponendo “che per l’avvenire facessero per insegna in luogo di quella già tolta via Tre Monti Verdi in campo di oro per dimostrazione del sito, del colle, il quale tiene tre eminenze in esso, et che nel Monte di mezzo A et I unite insieme a questo modo A perché significassero queste due lettere Ara Iani”. Compariva in tal modo il tricolle con il monte centrale sormontato dalla A maiuscola che aveva il puntino in testa, dando l’idea anche della I fusa in essa come si vede dalla foto.

Scipione precisò che nel tempo alcuni elementi nello stemma vennero mutati: il campo diventò “corbino” ossia corvino, i monti furono colorati “d’oro” e non più verdi, infine fu fatta solo la A senza la I, sormontante il colle centrale.

Francesco Antonio Vitale ci riferì che Ariano era l’unica città regia nella Provincia di Principato Ulteriore ed ottenne “il titolo di Fedelissima dai Re Aragonesi”, prerogativa questa che figurava anche nel suo stemma. Infatti scriveva “nel contorno dello scudo della sua Arma, che è composta di tre monti con due lettere unite insieme AI, cioè Araiani, si leggono incise le seguenti parole “Regiae Fidelissimaeque Civitatis Ariani Insignia”.

 

Non solo lo stemma

 

Ma torniamo a Maresca:

“C’eia l’albergo di Giurgione,

tratturie e pinsiuni,

barri, cinema, barbieri…

Ci staie pure il cimitero, 

il liceo e lo sviamento

pi strovire tutti quanti; 

puri scuole alimentari

e la scuola raggiunieri;

Simminario e Viscuvato,

forze armate e disarmate, 

la Pritura, il Tribunali

e il Casino Sociale.

 

Sant’Ottone è il prutittore

Ma protegge li frastieri.

 

Niente manca a ‘stu paese 

E ci stanne tutti cose…

 

Quist’è Ariano coppa coppa,

ciò che scappa po’ ci ‘ncappa

nel seguir la tiritera 

per rione e per quartiere.

 

Com’arrivi ‘mmiezzo Chiazza

proprio llì è il centro di mezzo.

come a Nabboli: Un frastuono

d’itinobili e pirsone”.

 

In pochi ed azzeccati versi sono racchiusi millenni di storia di una città che ha avuto il vanto di essere stata di riferimento per tanti cittadini di molti paesi del circondario. Le scuole di ogni ordine e grado, che accoglievano(e per nostra fortuna ancora accolgono) una moltitudine di studenti ed il seminario minore dove venivano iniziati alla vita ecclesiastica numerosi ragazzi dalla fine del 1500, dopo il Concilio di Trento, erano i centri di preparazione delle numerose schiere di giovani. Gli uffici pubblici decentrati Giudiziari, Tributari, Forze dell’Ordine garantivano alla città ed al vasto circondario la presenza dello Stato centrale e realizzavano in pieno il principio di sussidiarietà. Ahimè! Tutto si è dissolto in pochi anni per la poca avvedutezza di quanti hanno amministrato la città, facendole perdere quel ruolo guida di un territorio poco favorito dalla natura e distante dai centri importanti.

Ecco allora gli argomenti che si devono porre i vari candidati, durante la prossima battaglia elettorale, per fare risorgere questa nostra nobile città, che si è sempre distinta per spirito di iniziativa in tutti i campi e per capacità di rigenerazione dopo le battaglie ingaggiate con i tanti eventi naturali avversi.

Chissà se un giorno potremo rivedere rifiorire il centro storico! Chissà se un novello Totonno Maresca un giorno potrà ripetere questi versi:

 

“Questo è il centro, Chiazza, Chiazza!

che ammuina, che priezza!

quanta ‘mbruogli in questa Piazza,

quanta ggente, che bellezza!”

E poi, descrivendo via D’Afflitto:

 

“Lascia a dritto il Sinatore

culi llorge e il triculore

e incomincia via d’Afflitto

ch’eia ‘na via larga e stretta.

 

Questa è Chiaia; e Chiaia è niente

Si facimo ‘nu confronto,

picchè truove quasi tutto,

tutta robba bella fatta,

nastre, strasse e pazzielle

pannuline e scuffielle.

 

Questa via storta e stretta

è di traffico pi tutti;

ma la Chiazza è sempe Chiazza

picchè Chiazza è ‘na priezza”.

L’augurio è che possa risorgere ed aprirsi agli antichi splendori la nostra “Arnanah”, come la indicava il geografo Edrisi ne “Il Libro di Ruggero”, risalente al 1154. 

 

Antonio Alterio

 

Fonte: Corriere dell'Irpinia, 17 novembre 2013